Gli apparati hanno il grande merito, dove possibile, di coinvolgere nella lettura elementi di paesaggio urbano fruibili successivamente con una guida (le statue di Alberto I, Borso e Niccolò, tutte visibili sulla vicina piazza della Cattedrale, dove rimangono tuttavia insufficientemente contrassegnate). Presentazione degli oggetti esposti L'impegno a educare alla lettura di documenti figurativi e archivistici diversi ci sembra tanto encomiabile quanto assai raro: si pensi alla ottima spiegazione delle medaglie, purtroppo presenti solo in fotografia...
La prima sezione rimane però una mostra di riproduzioni (il bellissimo plastico dominato dall'alto, gli enormi e discutibili specchi, le gigantografie b/n, gli sgargianti silk screenings con ritratti estensi che danno il nome alle prime sale), immagini che non sempre sono integrate da didascalie. Da dove vengono, viene da chiedersi in assenza di legende, chi raffigurano i ritratti estensi che scandiscono l'alternarsi delle sale, da dove nasce questa genealogia illustrata? Approccio al pubblico Le strategie di coinvolgimento ci sembrano essenzialmente due.
La mostra propone oggetti desueti, misteriosi e accattivanti, odorosi di nuovo e spesso sostituiti agli oggetti storici stessi, spingendo il visitatore incuriosito verso spiegazioni dal diverso livello di approfondimento. Un lento 'largo', appunto, che paradossalmente non sembra trattenere il flusso del pubblico e, nonostante l'affabilità dei testi, risente del denso prevalere del mezzo verbale.
Una seconda 'strategia di discorso', storico-architettonica, sfrutta la suggestione della dimora storica e di alcuni suoi documenti figurativi, davvero ben scelti, attivando fantasiosamente anche zone di disimpegno, come le ripide scale.
SEZIONE 2: 'ANDANTE'
Tema La sezione Una corte nel Rinascimento si assume l'arduo compito di riassumere la pantagruelica vicenda artistica di Ferrara tra 1400 e 1600 e le sue vivissime vicende critiche (anche alla luce delle recenti mostre su Dosso e su Tiziano, e sulla scia di quella di Bruxelles, Un Rinascimento singolare, curata dalla stessa J. Bentini).
Il suo maggior pregio consiste nel riportare sul loro territorio alcuni capolavori dispersi da vicende collezionistiche; il suo maggior difetto risiede nell'attenzione assai intermittente prestata al territorio e alla provenienza originaria degli oggetti.
La sezione si segnala anche per le dimensioni e l'affollamento dei pezzi, mentre non facilitano l'orchestrazione meramente cronologica delle opere (la vecchia formula dell'"Arte al tempo di") e la loro presentazione, che non è né iconografica, né filologica.
Approccio al pubblico Nelle intenzioni di chi ha previsto per il visitatore della mostra un biglietto integrato, la seconda sezione, incentrata su temi storico-artistici, dovrebbe integrare la quadreria della Pinacoteca Nazionale al Palazzo dei Diamanti, dove una parte del pubblico che si assiepa per l'evento effimero verrà invitata a concludere la visita in più comode sale. Ed è una fortuna, perché il meditato percorso della collezione permanente (arricchito per l'occasione di un Francesco del Cossa, la Pala dei mercanti di Bologna, qui chiamato più per fama storiografica che per pertinenza territoriale) riesce molto più efficace della sua ahimé più fortunata propaggine effimera, allestita al Castello senza sufficiente soluzione di continuità rispetto alla prima sezione.
LA PICCOLA SEZIONE 3: MODERATO CON BRIO
Tema Usciti dai boschi dell'alta onomastica il finale offre un prezioso lenimento: l'ultima sezione riunisce infatti i rilievi del camerino di alabastro di Alfonso I, completando idealmente la ricostruzione del prestigioso ambiente che la mostra londinese su Tiziano (National Gallery, 2003) aveva proposto per i soli dipinti.
La sezione, basata su pochi oggetti ben scelti per pertinenza e qualità, e perciò più controllati, illustra diversi aspetti legati all'arredo antiquario di questo diffuso tipo di ambiente, in particolare alla bottega responsabile dei rilievi di Alfonso, quella di Antonio Lombardo. Allestimento Anche per un visitatore specialista sono apprezzabili i criteri filologici della selezione e dell'allestimento, forse un po' penalizzato dall'assegnazione di spazi non sempre capienti, dall'illuminazione, lattea e uniforme, e dalla scelta di materiali plastici che di tale luce accentuano gli effetti stranianti da rilievo isolato e da scenografia aerospaziale.
Approccio al pubblico Né eccessivamente didascalico, né pedante, l'allestimento familiarizza il pubblico con i linguaggi formali e con i problemi delle tipologie replicabili usando oggetti opportunamente seriati e commentati.
Risulta così didattico in forma più leggera e icastica che non i precedenti, anche grazie al taglio tematico esplicito.
L'unico rammarico è che i collegamenti tra i raffinati indirizzi del camerino e le loro ripercussioni sul territorio rimangano impliciti, ovvero affidati al catalogo. Ma si tratta a ben vedere di una scelta precisa: pochi concetti efficaci per il largo pubblico, e possibilità di riscontri più ampi solo per gli specialisti.
QUALCHE CONSIDERAZIONE SU UNA MOSTRA DI SUCCESSO Al 16 giugno il ragguardevole afflusso di pubblico (una media di 1773 presenze al giorno) risulta più o meno dell'ordine di grandezza di quello della mostra sui Faraoni di Palazzo Grassi (Venezia 2003), anche se inferiore a I Gonzaga. La Celeste Galleria (Mantova, Palazzo Te, Fruttiere; Palazzo Ducale 2003, 3900 visitatori quotidiani), entrambe legate a sedi espositive già ben rodate. Evidentemente la lusinga del grande evento, la sua scolasticità e l'ampia pubblicizzazione sui quotidiani hanno sortito effetti immediati.
Il successo di pubblico non coincide con il pieno conseguimento dei troppi obiettivi museologici ed istituzionali posti agli organizzatori. Gli antichi maestri sembrano ormai necessari a legittimare installazioni di arti visive contemporanee che di per sé non avrebbero né funzione né contenuto, ma che non si mettono neppure al servizio del pubblico e degli oggetti.
- La prima sezione utilizza il linguaggio dei posters, ma manca spesso (specie al di fuori delle sale nobili affrescate) della retorica e della sostanza della mostra, cioè degli oggetti.
- L'invadenza dell'allestimento architettonico, vero demarcatore della dimensione 'evento', diviene ancor più problematica nella seconda e nella terza sezione, nella quale uno studio di sintassi esiste e viene tuttavia soffocato.
- Molti e promettenti sentieri sono prima suggeriti e poi interrotti: la prima parte guida in parte al riconoscimento degli ambienti attraversati, e li rende ove possibili funzionali al discorso, la seconda li oscura e li tace. Né l'una né l'altra chiariscono poi il rapporto tra la mostra e il palazzo-museo, ben diverso, cui essa dà origine. Se da un lato la mostra “vende” un Castello “restituito alla città”, ma di fatto ancora semichiuso e in corso di allestimento, il richiamo esercitato dall'evento, in mancanza di informazioni precise in proposito, non convincerà i visitatori sull'opportunità di tornare sul posto. Le due offerte culturali avrebbero dovuto essere presentate come distinte.
Nel Castello di Ferrara il progetto effimero giunge a cancellare del tutto il restauro che si vorrebbe celebrare (e di cui poco si mostra e niente si illustra). Le dimensioni della mostra esibiscono più una monumentale disponibilità di spazi che un progetto museografico complessivo o un'innovazione storiografica. In tal senso, la coincidenza dell'esposizione con il Salone del Restauro e con l'apertura del Castello rivela una capacità di coordinazione esterna molto più efficace di quella interna agli eventi. Gli obiettivi raggiunti, pericolosamente vagheggiati da altre amministrazione locali, sono molto vicini ad essere meramente turistici.
A chi rimanga desideroso di delucidazioni non resta che sobbarcarsi l'onere di tre cataloghi, dopo quello del biglietto.
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